«Il viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma»
Bruce Chatwin, “Anatomia dell’irrequietezza”
30 giugno 2011- giovedì – Ord, Tarskavaig, Armadale
L’isola ti sorprende di continuo. Ogni suo angolo è una scoperta inattesa.
Mentre faccio colazione nella sala comune insieme a tre turisti tedeschi di Essen, due donne e un uomo, e parliamo del più e del meno guardando il mare attraverso la grande finestra posta di fronte a noi, all’improvviso una delle signore esclama, prima in tedesco e poi in inglese: “C’è una foca sul mare!” Guardo anch’io. Effettivamente quello che da lontano sembrava un grosso tronco alla deriva in realtà si sta muovendo.
Corro in camera a prendere il teleobiettivo e scendo in spiaggia. Ancora incredulo scatto una decina di foto alla foca che se ne sta quasi immobile nell’acqua, a una cinquantina di metri da me, muovendo ogni tanto la testa e le zampe e non perdendomi mai di vista. Noto che le foche hanno uno strano modo un po’ buffo di stare a galla. Tengono la testa e le zampe abbondantemente fuori dall’acqua, quasi a formare un arco, e per girarsi si danno delle spinte con la coda e la zampe, ballonzolando sulla pancia.
Una volta rientrato, poco prima delle nove di mattina, parto diretto a Tarskavaig, la mia meta odierna, nel sud-ovest dell’isola. Ma prima decido di fare nuovamente un salto a “Loch Cill Chriosd”, il laghetto che mi aveva stregato il giorno precedente con la sua atmosfera inquietante e le sue acque ricoperte di canne e ninfee. Spero che la luce del mattino, proveniente dalla direzione opposta a quella del tramonto di ieri, mi regali squarci di luce inattesi.
Effettivamente il lago mantiene le promesse. C’è una magnifica luce e ne approfitto per scattare delle nuove foto. Dopo un po’ riparto in direzione opposta, destinazione la spiaggia di Tarskavaig, da cui si dice che si goda una delle più belle viste dal mare sui monti Cuillin.
Ripasso da Broadford e continuo per circa un miglio sulla A87 per Kyle of Lochalsh, poi imbocco a destra la A851 che porta ad Armadale. È una bella strada a due corsie, che dopo giorni di strette “single track road” mi sembra un’autostrada, al confronto. Dopo una decina di minuti intravedo sulla sinistra un laghetto dalle acque verdissime e scure.
Accosto, parcheggio e mi addentro nella vegetazione districandomi fra le piante e gli arbusti, a scattare alcune foto. Dopo circa mezz’ora di strada in auto, sullo sfondo appare la splendida baia di Armadale. Sulla destra, ecco il bivio per Ord-Tarskavaig. Seguo l’indicazione e mi immetto nella stradina. È una “single track road”, tanto per cambiare, e un inquietante cartello posto all’inizio della strada avverte che, a causa della ripida pendenza di alcuni tratti e le molte curve, il tratto è fortemente sconsigliato a camper e roulotte. Fisso il cartello e mi chiedo che razza di strada mi attenda, visto che le “single track road” che ho incontrato fino ad ora erano poco più che mulattiere asfaltate in bilico fra precipizi.
La strada è lunga 15 miglia. Ma 15 miglia su una “single track road” possono durare un’eternità quando devi procedere lentamente andando quasi a passo d’uomo, mettendo duramente alla prova i sensi e il fisico.
Dopo poche centinaia di metri, la stradina che attraversa l’interno per raggiungere la costa dal lato opposto svela tutta la sua bellezza nascosta. Si dischiude a me un paesaggio radicalmente diverso da quello di pochi minuti prima. Tanto “marino” e dolce quello, quanto campestre e “montano” questo. Verdi boschi di conifere su entrambi i lati della strada che si inoltra per le colline con un percorso tortuoso fatto di salite e discese continue, con i monti Cuillin a fare da cornice. Ad un certo punto, dopo una curva, mi si para davanti l’ennesimo lago che sembra dipinto da una mano divina.
Mi fermo a scattare delle foto e godermi il paesaggio. Riparto. Adesso mi trovo in piena campagna, un paesaggio agreste splendido che mi riporta in mente i ricordi degli studi universitari sulle Bucoliche e le Georgiche di Virgilio. Ai piedi di una valle verdissima e di grande bellezza, con il ruscello che scorre esattamente dove ti aspetteresti che sia, decine di capi di bestiame pascolano tranquillamente: tori, mucche, vitelli, pecore, agnelli, indifferenti all’unico essere umano nei dintorni.
Spengo l’auto lasciandola in mezzo alla strada. Non provo nemmeno a parcheggiarla, non c’è spazio per farlo e non passa nessuno. Mi godo questo spettacolo degno di uno scenario da film western. Da un momento all’altro mi aspetto che all’orizzonte compaiano dei cowboy a cavallo a governare la mandria.
Dopo un po’ riparto. La stradina adesso inizia a farsi impervia e impegnativa: su e giù per le colline, dossi e avvallamenti, curve a gomito senza nessuna protezione ai lati della strada. E nessun’altra auto oltre alla mia. Non c’è anima viva. Mi rendo conto solo adesso che in questo scenario d’inusitata bellezza, da quando ho imboccato la strada più di mezz’ora fa, non ho finora incontrato nessuno, cosa che non mi era mai successa prima.
Rafforzo l’attenzione e mi concentro sulla guida. La stradina è veramente molto stretta, basta un leggero colpo di sterzo o una piccola disattenzione per finire fuori strada, in questo caso giù per la valle.
Dopo un quarto d’ora che mi sembra un’eternità, attraversando una campagna ricca di boschi in un mutare continuo di paesaggi, sento che dovrei essere ormai vicino al mare. La strada comincia infatti a ridiscendere. Ed effettivamente è così. Adesso intravedo il mare dalla parte opposta. La stradina diventa ancora più stretta e un cartello mi avverte che c’è una lunga discesa con una pendenza superiore al 16%. Finalmente, come apparse dal nulla, inizio a vedere le prime case poste in posizione panoramica sulla costa, ma continuo a non incontrare persone. Dopo alcune centinaia di metri vedo il cartello con l’indicazione Ord. Giro a destra, la stradina risale nuovamente per poi terminare in una piazzola nei pressi di una splendida villa e di alcune case signorili.
Le pecore stazionano in mezzo alla strada con i loro agnellini. Scendo dall’auto per fare alcune fotografie alla villa e solo allora mi rendo conto con estremo stupore che i giardini delle case sono piene di conigli.Devo confessare che quando mi sono ritrovato completamente da solo in questo pittoresco borgo di magnifiche ville apparentemente disabitate, senza anima umana nel raggio di miglia, circondato da una moltitudine di conigli che saltellavano tranquilli a pochi metri da me, e decine di pecore, agnelli e arieti che stazionavano ovunque a ridosso delle abitazioni e mi fissavano come un intruso, ho provato un’inquietante, indefinibile sensazione che mi ha dato qualche brivido.
Come se quel quadretto idilliaco, bucolico potesse improvvisamente mutarsi in uno scenario da incubo, con la natura e gli animali che si rivoltano contro l’uomo. Sono stati pochi minuti di straniamento in cui mi sono sentito come un sopravvissuto a un catastrofico conflitto atomico che si addentrava solitario in un paesaggio disabitato, tra vestigia abbandonate, e in cui la natura e gli animali avevano preso il sopravvento. E io ero l’intruso, l’eccezione, l’anomalia che turbava il nuovo equilibrio.
Poi, all’improvviso, come apparsa dal nulla, scorgo finalmente una signora sui cinquant’anni, vestita in modo elegante, che passeggia sul bordo della strada. Accosto e le chiedo se per andare a Tarskavaig devo proseguire giù per quella direzione. Lei sorridendo e con molta cortesia mi dice di sì e mi fornisce altre utili indicazioni. Saluto la signora e scendo giù di un centinaio di metri. Finalmente scorgo il mare sulla destra e una vasta spiaggia, all’interno di una piccola baia con i monti Cuillin sullo sfondo. Rimango senza parole. Una spiaggia di una bellezza inusitata, devastante, talmente potente che mi viene quasi voglia di gridare. Mi rendo conto che ormai parlo da solo, e la frase che pronuncio più spesso è: “Oh mio Dio!”, che detta da un non credente, dovrebbe rendere l’idea dell’impatto e della bellezza dei posti.
Parcheggio e scendo dall’auto. Un paio di ville danno direttamente sulla spiaggia. Per alcuni momenti, io che normalmente sono estraneo al sentimento dell’invidia, mi trovo a invidiare i fortunati proprietari che possono godersi quel magnifico panorama dalla finestra di casa, direttamente sulla spiaggia. Trascorrere un paio di giorni in quelle abitazioni, osservare un tramonto di fronte al mare in quel paesaggio, deve essere un’esperienza unica. Rimango circa un’ora sulla spiaggia a scattare fotografie. C’è anche un torrente che sfocia sul mare. Il paesaggio è una sinfonia di colori brillanti che inebria e stordisce: le alghe verdi e gialle, la sabbia ocra, gli scogli grigi, i licheni arancioni, i sassi di basalto lucidi e neri, il mare blu, le onde bianche e in lontananza i monti verdi che sfumano nel blu. E su tutto l’odore inconfondibile del mare che ti impregna le narici, la salsedine che ti penetra dentro fin nell’anima, portata dal vento che non cessa mai, ma che qui è così dolce.
Vado a riva e tocco l’acqua del mare. Non sembra particolarmente fredda, sarà anche il vento del mare che soffia fuori ad affievolire la sensazione. Mi fermo a seguire il volo di gabbiani e uccelli marini. Fotografo delle minuscole conchiglie di un acceso arancione che vivono attaccate agli scogli, pochi centimetri sotto il pelo dell’acqua.
Dopo circa un’ora risalgo in auto e continuo per il mio itinerario. Dopo un paio di miglia arrivo a Tarskavaig, poche decine di case. Sul ciglio della stradina passeggia una coppia con una figlia di circa dieci anni. Mi salutano con estrema cordialità, come se fossi un vecchio amico. Poco oltre le case la stradina termina in una piazzola che dà su una piccola scogliera.
Risalgo la strada di poche centinaia di metri e svolto a destra. Lungo la strada incontro un piccolo bosco di fronte al mare: gli alberi bassi, dai tronchi contorti, sono tutti piegati e rivolti nella stessa direzione in cui soffia il vento incessante proveniente dal mare.
Poi, dopo una curva, ecco all’improvviso la spiaggia della baia di Tarskavaig. La spiaggia è immensa, la sabbia è finissima, cosa rara in un’isola di origine vulcanica, e va dall’ocra al grigio, al nero, fino a un incredibile bianco da spiaggia corallina. Rimango per circa mezz’ora a passeggiare da solo in quella luminosa vastità.
Quando riparto, sono quasi le tre del pomeriggio. La strada che prendo al ritorno è diversa da quella dell’andata, meno impervia e più scorrevole della precedente. Ogni tanto incontro qualche auto.
A un certo punto, subito dopo una curva, mi si para davanti la vista mozzafiato della baia di Armadale Sleat, con la costa della Scozia sullo sfondo. Mi fermo a scattare delle fotografie al paesaggio e a dei fiori di cotone selvatico che macchiano di bianco i prati verdi.
Poco dopo la strada diventa nuovamente a due corsie, riappaiono come per incanto le auto, i cottage, le ville e gli hotel di lusso. Questa è una delle zone più frequentate e meglio servite dell’isola di Skye.
Prendo il bivio per andare ad Armadale e arrivo al porto da cui si imbarcano i traghetti per la terraferma. Ci sono dei negozi molto caratteristici dove poter acquistare souvenir. Davanti allo store di “Grumpy George”, c’è una meravigliosa auto d’epoca che non mi stanco di fotografare. Quando torno al B&B faccio le valigie, una doccia e poi esco a cena per l’ultima sera sull’isola di Skye. Domani si riparte. Si torna a casa.
Termina qui il resoconto del mio viaggio di una settimana sull’isola di Skye. Scriverne mi ha consentito di ricordare, rivivere e fissare sensazioni ed emozioni che altrimenti sarebbero andate perdute nell’oblio della memoria.
Ho passato delle giornate talmente intense e ricche di emozioni che alla sera, stremato ma ebbro di gioia e pienezza di vita, mi sembrava che fossero passati due o tre giorni. Ho tenuto un taccuino di viaggio dove la notte, prima di andare a letto, annotavo tutti i dettagli della giornata trascorsa, per paura che i particolari delle emozioni provate e dei luoghi scoperti svanissero nella notte come in un sogno. Ecco, a volte mi è sembrato di vivere all’interno di un sogno.
L’isola di Skye è di una bellezza folgorante, abbacinante, talmente intensa da far male, da scuotere fin nelle pieghe più profonde del nostro essere. Mette a nudo la tua anima, ne rivela l’essenza, come le rocce vulcaniche e scabre che costituiscono l’isola. La luce del cielo è di una bellezza che nessuna foto e nessuna parola potrà mai rendere pienamente.
Il silenzio… il silenzio dell’isola è indescrivibile. Si è cullati solo dal suono del vento onnipresente, dallo sciacquio dell’acqua dei ruscelli e delle piccole cascate, dallo sciabordio delle onde del mare, dai versi dei gabbiani e degli altri uccelli marini.
In un paio di occasioni la bellezza selvaggia dei luoghi, la loro potenza ed energia primordiale, il senso di mistero tremendo e affascinante che emanavano – quello che gli antichi chiamavano il senso del “numinoso” o del “sacro” in senso pagano – è stato talmente forte e insostenibile che mi sono commosso. Le lacrime più belle che abbia mai versato.