Questo blog è nato nel 2007 e ha attraversato diverse fasi, accompagnando e rispecchiando quelle della mia vita.
Il primo post, L’albero, il figlio, il blog, risale al 29 marzo 2007 ed è uno dei pochi che ho lasciato.
Ho eliminato la maggior parte dei vecchi articoli, senza nessun rimpianto. Ai tempi avevano assolto una precisa funzione, rispondendo a quelle che erano le mie esigenze di allora; ora, dopo un salutare distacco di anni, ho potuto congedarli serenamente e ripensare al futuro, a nuovi progetti e nuove sfide.
L’assunto di base, il manifesto programmatico del blog, i principi e la visione del mondo a cui mi ispiro rimangono sempre validi. Semplicemente è cambiato il focus, il mio punto di vista si è ampliato, gli anni e le vicende della vita hanno plasmato la mia esperienza e arricchito la mia personalità, alcune esigenze hanno perso il loro carattere di urgenza, mentre altre sono emerse con energia e rinnovato entusiasmo.
Il nuovo blog avrà un taglio più visivo e fotografico, più oggettivo e meno privato.
Con il passare degli anni ho maturato la convinzione della necessità di una rielaborazione lenta e meditata delle proprie esperienze e riflessioni, prima di condividerle in forma durevole per mezzo della scrittura o della fotografia. Scrivere mi impegna molto più di una volta, sia nella fase di scrittura, che è sempre travagliata, impulsiva e frenetica, sia nel controllo della forma e nella revisione del testo, che si è fatta severa, intransigente, a tratti anche spietata, mai indulgente o consolatoria, al punto che preferisco cancellare del tutto un articolo su cui ho lavorato anche dei giorni, se il risultato finale non mi soddisfa pienamente.
In questi anni, assistendo al rapido mutare dei meccanismi e delle dinamiche di comunicazione nei social network causato dalla loro capillare diffusione presso fasce di utenti fino a poco tempo fa escluse per diversi motivi, ho avvertito il bisogno di una lunga pausa di riflessione per ripensare a un progetto e a dei contenuti che fossero slegati dall’urgenza del momento e che valesse la pena di tornare a rileggere, anche dopo mesi o anni.
Il presenzialismo invadente, rumoroso ed eccessivo dei social e la tendenza generale sempre più dilagante per cui ogni abbozzo di riflessione, ogni aspetto della propria vita intima e privata, viene condiviso, ostentato e reso pubblico in tempo reale, senza alcun filtro, mediazione o rielaborazione, mi hanno portato a riconsiderare e apprezzare il valore del silenzio, a coltivare un ritrovato senso della sobrietà, della riservatezza, della lentezza e – non ultimo – anche del pudore.
Un secondo elemento, strettamente collegato al primo, che condiziona questa mia ricerca di sintesi e di essenzialità, è quello che, per usare una felice definizione coniata dal critico e storico dell’arte Gillo Dorfles, potremmo chiamare “horror pleni”: uno stato d’animo, un sentimento, una condizione che spinge ad aborrire il “troppo pieno”, la confusione, il rumore di fondo, il chiacchiericcio inutile, l’incontinenza comunicativa tipica di questi tempi e a privilegiare il vuoto, l’ordine, la pausa, l’assenza, il procedere per sottrazione anziché per accumulo.
Viviamo in una società in cui l’eccesso di informazione genera sempre più rumore e distrazione e si tende a privilegiare il contesto rispetto al testo. Siamo distratti da troppe informazioni non necessarie, assordati dal brusio di fondo che rende ogni cosa omogenea e interscambiabile, per cui sembra che tutte le opinioni si equivalgano. Di fronte a questo scenario che conduce alla perdita totale di significato e all’azzeramento del senso, avverto la necessità forte di tornare a discernere e selezionare, separare l’essenziale dal superfluo, rielaborare e raffinare le mie idee in relazione alla realtà.
Alla fine, mosso da un ritrovato entusiasmo e dalla passione per la nuova sfida, mi sono deciso a tornare a scrivere per fare chiarezza, prima di tutto dentro di me. Scrivere per analizzare, sintetizzare, cogliere l’essenziale, fissare quello che sfugge, fermare quello che fugge.
A un certo punto della vita si sente il bisogno di scrutare dentro se stessi senza più finzioni e ipocrisie per eliminare tutto ciò che di superfluo si è andato accumulando e stratificando nel corso della vita e mirare all’essenziale per ritrovare il senso che era andato smarrito.
Per fare questo occorre fermarsi, fare il vuoto dentro di sé, guardarsi indietro ad osservare le proprie radici, vedere chi eravamo, da dove veniamo, cosa siamo diventati e recidere ciò che di secco, di inutile si è nel tempo stratificato in noi.
Lo strumento che forse meglio di qualunque altro – almeno per me – permette di realizzare questo lavoro è la scrittura, intesa come esercizio di osservazione, autoanalisi e riflessione. Il processo della scrittura costringe ad articolare in modo strutturato il proprio pensiero, a farlo sedimentare lentamente per poi fissarne l’essenza. La scrittura (per come la intendo io e gli scrittori che più ammiro: Borges e Sciascia sopra tutti), deve mirare per sua natura alla sintesi, all’essenziale.
La scrittura è lavoro di scavo, rimozione del superfluo, “si fa per forza di levare” (come affermava Michelangelo della scultura), facendo gradualmente emergere le forme come dall’acqua di una “conca” che lentamente si svuoti, per dirla con il Vasari.
Il fatto di usare per questo lavoro di scavo, di limatura, di riduzione all’essenziale, un mezzo (il blog) e un luogo (il web) che rappresentano l’emblema stesso della crescita ipertrofica ed esponenziale delle informazioni, il simbolo della dispersione e dell’accumulo caotico e destrutturato, dell’assenza di un nucleo e di una volontà centrale, costituisce un ulteriore aspetto di sfida ricco di fascino.
Usare uno strumento attuale, moderno e tecnologico qual è il web per fare delle considerazioni inattuali, senza tempo, slegate dalla contingenza e dalla condanna di essere costantemente al passo coi tempi, e piegarlo alle esigenze eterne ed immutabili dell’uomo.