Lasciato il borgo di Castelsardo nel primo pomeriggio, abbiamo deciso di procedere verso est, in direzione della Gallura. Dopo una ventina di chilometri ci siamo diretti verso la spiaggia di Baia delle Mimose, in località Badesi, nei pressi del fiume Coghinas. Dopo essere usciti dalla strada statale ed esserci districati fra un dedalo di incroci e rotatorie, abbiamo imboccato una strada di campagna non asfaltata, al termine della quale siamo arrivati in uno spiazzo in prossimità del litorale, oltre il quale non era più possibile proseguire in auto.
Ci siamo incamminati a piedi lungo i sentieri che si addentravano fra le dune di sabbia e il verde della macchia mediterranea. Dopo alcuni minuti di cammino, abbiamo iniziato prima a percepire, poi a sentire distintamente il rumore delle onde e, finalmente, a intravedere il mare, agitato dal forte vento di maestrale, che faceva capolino fra il giallo delle dune e il verde della vegetazione costiera.
La spiaggia, una distesa lunghissima di sabbia candida, si estendeva a perdita d’occhio: a ovest torreggiava inconfondibile la sagoma del promontorio di Castelsardo, a est si intravedeva in lontananza l’Isola Rossa.Il vento di maestrale era molto forte e gonfiava il mare che ribolliva di onde bianche e spumeggianti. C’era pochissima gente sulla spiaggia, quasi esclusivamente nel piccolo lido privato del residence alla nostra sinistra, mentre alla nostra destra, in direzione dell’Isola Rossa, non si intravedeva anima viva per alcuni chilometri.
Una volta poggiate le nostre cose in un angolo della spiaggia riparato dal vento, mi sono diretto verso la riva e, arrivato in prossimità del bagnasciuga, con i piedi ben piantati nella sabbia bagnata, mi sono messo a contemplare il mare di fronte a me, vasto e sconfinato, respirando a pieni polmoni il vento fresco e umido che soffiava dall’orizzonte.
Inebriato dall’odore della salsedine, dalla vista di quel mare e dalla luce accecante del meriggio, ho iniziato lentamente a perdermi in fantasie marinaresche senza tempo, storie di antiche battaglie e assedi navali, incursioni saracene ed eroiche resistenze, storie di mercanti levantini senza scrupoli e traffici esotici con terre lontane. Dopo un po’ che ero immerso in questi sogni lucidi – avendo perso la cognizione del tempo non sarei in grado di quantificarne con esattezza la durata – ad un certo punto ho avuto la netta sensazione di trovarmi nella “mia spiaggia” di Randello, nell’estremo lembo sud-orientale della costa siciliana, tra Punta Braccetto e il promontorio dove sorgeva l’antica colonia greca di Kamarina, nei pressi di Scoglitti. Mi sembrava di sentire gli stessi odori, percepire la stessa luce. Poi, all’improvviso, le voci di alcuni bambini che giocavano a rincorrersi sulla spiaggia mi hanno svegliato da quella rêverie, e mi sono reso conto che di fronte a me, oltre l’orizzonte di quel mare che mi sembrava africano, non c’era l’Africa, ma Nizza e Marsiglia. Quel mare guardava a nord, non a sud: e fronteggiava la Francia.
Sono rimasto per alcuni minuti attonito, immerso in uno smarrimento che era prima di tutto interiore e fisico, legato al piacevole inganno giocato dai miei sensi e alla falsata percezione del mio essere, e poi secondariamente, anche spaziale e geografico. La presa di coscienza della realtà mi aveva svegliato dalle mie peregrinazioni immaginarie e fantastiche, e mi aveva riportato con i piedi per terra. Mentre mi assaliva un senso vago e indefinibile di nostalgia, venivo sommerso dai ricordi della mia terra e del mio mare, dalle impressioni, ancora ben vive in me, di una terra idealizzata e mitizzata, introiettata e rielaborata, nel corso dei tanti anni di lontananza da essa, sulla base delle mie letture e delle tante suggestioni letterarie, artistiche e cinematografiche, e infine ridotta all’essenziale, a quei pochi elementi fisici, paesaggistici e simbolici, che mi porto dentro, come bagaglio immaginifico del mio mondo interiore.
Una volta tornato in me sentivo che quell’incanto magico di comunione fra il mio io e la natura circostante si era incrinato. Adesso sapevo di trovarmi in Sardegna, sapevo che quello era il Mar Tirreno, che di fronte a me, in linea d’aria, c’erano la Corsica e più lontano ancora, la Francia. Sapevo che l’isola sulla quale poggiavo i piedi, affondandoli nella sabbia bagnata, era la Sardegna, e non la mia Sicilia.
Era ormai tempo di andare via, di riprendere la strada di ritorno verso Stintino. Mi rimaneva dentro l’emozione, che non dimenticherò mai, di quella forte esperienza di ebbrezza panica, di massima esaltazione dei sensi e della coscienza, seguita dallo smarrimento e dallo spaesamento del ritorno alla realtà. La nostalgia di quel momento mi accompagna ancora, e mi sovviene nei momenti di ripiegamento interiore e nei miei sogni.