Varcammo l’ingresso e ci ritrovammo all’interno di un giardino lussureggiante che s’innalzava fino al cielo a formare una volta verde e sterminata che avvolgeva ogni cosa, un’immensa architettura arborea vivente che si estendeva a perdita d’occhio in ogni direzione e di cui stentavo a cogliere i confini.
Mi trovavo all’interno di una fantastica cattedrale gotica i cui pilastri erano costituiti da colossali tronchi di alberi che si ergevano ad altezze vertiginose, formando archi a sesto acuto e volte a crociera di indescrivibile complessità e bellezza. I rami e le foglie si intrecciavano in una trama dal disegno indecifrabile, intricata e al tempo stesso impalpabile, evanescente, dando vita a grandi vetrate che vibravano di una luce indefinibile.
Ci incamminammo lungo quella che sembrava essere la navata centrale della cattedrale arborea.
Gocce d’acqua e di linfa stillavano dalle pareti e dalle volte, raccogliendosi a terra in vaste pozze che nell’oscurità attenuata che ci avvolgeva emanavano vividi bagliori fluorescenti che si riverberavano nell’aria. C’era un odore fortissimo di vegetazione, di linfa, di terra umida e fresca. Una flebile luce filtrava da fuori. Eravamo immersi in una penombra permeata di tutte le sfumature del verde.
In fondo al giardino, luminoso come un faro in una notte senza luna, intravidi l’ingresso del palazzo. Fra le verdi tenebre, brillava della luce calda che proveniva dal suo interno. Ci dirigemmo verso di esso, addentrandoci lungo un corridoio di vegetazione più ampio e alto degli altri.
Fu solo allora che mi accorsi che le pareti attorno a noi erano costituite interamente d’acqua, mirabili pareti liquide all’interno delle quali nuotavano con ineffabile grazia e leggerezza deliziose figure femminili di una bellezza incomparabile. Ninfe, sirene, spiriti delle acque, creature non umane ma divine, che rifulgevano di una luce tenue e vibrante che trascolorava in tutte le tonalità del blu. Le riconobbi. Erano Nàiadi, le ninfe del mito.
In preda allo stupore mi girai verso il mio compagno, ma mi resi conto in quel momento di essere rimasto solo. L’uomo che mi aveva fatto da guida non era più al mio fianco. Non fui sorpreso. Avevo intuito che il suo compito era quello di accompagnarmi fin lì. Dovevo proseguire da solo. Sentivo un irrefrenabile impulso ad andare avanti, attratto da un richiamo misterioso e irresistibile.
Avanzavo tra questi imponenti corridoi viventi all’interno dei quali danzavano centinaia di figure femminili sempre cangianti, sommerso e abbacinato dalla luce blu che emanavano, frastornato e ammaliato da quel brulicare sovrumano di vita, in preda a una sensazione di grande euforia ed ebbrezza.
Le creature mi osservavano e si muovevano freneticamente intorno a me, fluttuando nell’acqua in preda a una dionisiaca agitazione. Sentivo i loro sguardi carichi di curiosità ed eccitazione. Avevano capelli folti e lunghissimi che sembravano muoversi di vita propria, accarezzando i loro corpi levigati e intrecciandosi con i viluppi di alghe e fiori che le circondavano. I loro movimenti sensuali e sinuosi possedevano una grazia indefinibile, divina e animalesca al tempo stesso, un’eleganza sublime e primordiale che ricordava la fluida naturalezza delle creature acquatiche e dei serpenti. I loro grandi occhi verdi si volgevano raggianti verso di me, carichi di promesse.
Io le vedevo sorridere ammiccanti e impudiche, ebbre di sé stesse e della loro bellezza senza tempo, innocenti e voluttuose, libere e altere come solo le dee possono essere. I miei occhi erravano desiderosi sui loro corpi giovani e flessuosi; ero inebriato da quella vitalità sovrumana, dall’atmosfera arcana di quel luogo, dagli enigmi e dai segreti che mi circondavano, da quello che presagivo.
Giunsi all’ingresso del palazzo ed entrai nel grande salone illuminato senza esitare. Era un ambiente enorme e lussuoso, di un’eleganza sfarzosa ma raffinata. Sontuosi chandelier di cristallo pendevano dal soffitto riccamente decorato di stucchi e affreschi. Da lontano mi giungeva l’eco di una musica da orchestra. Doveva essere terminata da poco una lussuosa serata di gala. Alcuni invitati stavano lasciando la sala, aiutati da servitori in livrea.
Due donne velate, alte e misteriose, mi si fecero incontro. Indossavano eleganti abiti scuri che fasciavano il loro corpo snello e flessuoso e delle mascherine nere che ne coprivano parzialmente il viso, lasciando scoperti i lunghi capelli neri.
Una delle donne si fermò accanto a me. Sotto i merletti intravidi luccicare la bocca rosso sangue. Due grandi occhi scuri si immersero nei miei. Temetti di perdermi nella vertigine.
Mi prese sottobraccio e sussurrò: – Vieni con noi, lei ti sta aspettando.
(continua)
La prima parte del racconto la trovi qui: Nàiadi (1 parte) – Balconi barocchi
Gustav Klimt, Wasserschlangen II (Bisce d’acqua II, Water Snakes II), 1904