A volte ci sono dei particolari momenti nella vita in cui, in modo del tutto inaspettato ed improvviso, per una singolare coincidenza di particolari stati d’animo, di attimi fuggenti, di luce, di spazi ed eventi vissuti, di suoni nell’aria, si verificano delle straordinarie esperienze di pienezza di vita, attimi di puro incanto, in cui per pochi istanti ci è dato di cogliere la bellezza e assaporare la felicità allo stato puro e assoluto.
Attimi che sembrano durare un’eternità e che rimangono scolpiti dentro di noi in modo indelebile, con immagini vivide.
La sensazione di trovarsi in un punto dello spazio e in un momento privilegiato, dove sembrano convergere tutti gli infiniti attimi vissuti.
Un ‘attimo immenso‘ che comprende tutto. Quello che Nietzsche chiamava «ungeheuren blick».
Un attimo che sembra dilatarsi fino ad inglobare in sé il tutto: esiste solo l’ora e il qui, l’hic et nunc. Cogliere l’attimo immenso significa cogliere il valore del divenire al di là dei modi specifici ed infiniti con cui esso si manifesta, e al di là dei singoli istanti in cui esso si rapprende. L’attimo immenso come simultaneità ed attualità di tutti gli infiniti tempi.
In quel momento di indefinibile pienezza, felicità e comunione con l’universo, tutto potrebbe finire senza rimpianti: in quell’attimo si vive un’esperienza che coinvolge tutti i sensi talmente densa, ricca e forte, da poter essere definita felice nel senso più profondo e originario del termine, cioè nel senso della sovrabbondanza, della fecondità e generosità senza calcolo, dell’assoluta gratuità.
Alcuni giorni dopo capodanno, stavo ritornando dall’Olanda in auto e sebbene guidassi già da oltre sette ore e fossi stanco per il viaggio, quando dopo una curva in autostrada mi sono trovato all’improvviso davanti a un tramonto mozzafiato sulle Alpi svizzere di Interlaken, l’unica cosa che ho pensato di fare è stata quella di trovare in pochi secondi una piazzola di sosta prima delle altre curve che avrebbero coperto il paesaggio e cogliere l’attimo con la macchina fotografica.
Fortunatamente dopo un centinaio di metri c’era un’area di sosta. Ho parcheggiato, ho lasciato le mie figlie in auto dicendo “Papà va un attimo a fotografare il tramonto, state tranquille!” in preda all’euforia e all’eccitazione che di solito si impossessano di me in queste occasioni, e mi sono arrampicato su per i ripidi scalini che conducevano a un piccolo bar di montagna chiuso e in stato di abbandono. E ho scattato decine di foto.
Poi, finalmente soddisfatto, sono ridisceso, sono salito in auto e sono ripartito per il viaggio di ritorno in preda a uno stato di felicità e a una sensazione di pienezza di vita che è difficile spiegare. Mancavano ancora più di quattro ore per arrivare a casa, ma il mio cuore era colmo di gioia per ciò che avevo visto.